Ittici: l’impoverimento degli stock e il ruolo dell’acquacoltura

Questo mese la Fao ha pubblicato il ‘World review of fisheries and aquaculture 2012′. Il rapporto indica come la produzione di prodotti ittici nel mondo abbia superato i 150 milioni di tonnellate. Il 40% circa deriva dall’acquacoltura, che sfoggia il tasso di crescita più alto tra i vari settori alimentari. Il peso dei prodotti ittici da pesca, invece, dopo essere quintuplicato rispetto agli anni Sessanta, si è stabilizzato a circa 80 milioni di tonnellate prodotte ed è poco probabile che riprenda la sua crescita, considerato l’impoverimento delle risorse. Il 60% degli stock – popolazioni biologicamente indipendenti di specie pescate a livello commerciale – è già sfruttato al limite della sostenibilità, mentre il 30% è sovrasfruttato.
Considerato un tasso annuale di aumento della popolazione mondiale del 3,2%, e l’avvenuto raddoppio del consumo pro capite di prodotti ittici (da 9 kg a 18 kg ca), è quasi certo che nei prossimi anni l’aumento di domanda verrà soddisfatto da un aumento nella produzione da acquacoltura. La Fao prevede infatti che, nel 2018, le tonnellate di prodotti ittici derivate da acquacoltura supereranno quelle da pesca. Ma l’aumento della produzione da acquacoltura verrà limitato in maniera sempre più incisiva dalla ridotta disponibilità di aree adeguate allo sviluppo della stessa e a limiti tecnologici nell’allevamento – alcune specie non sono riproducibili in cattività. L’incremento della popolazione e dei consumi dovranno certamente ridursi nel corso dei prossimi 20 anni a causa delle limitate risorse e a costi delle materie prime già raddoppiati negli ultimi dieci anni.

Date le premesse e le preoccupanti previsioni in termini ecologici ed economici, è normale che alcune aziende produttrici – armatori, impianti di acquacoltura, trasformatori, traders e la grande distribuzione – si siano attivate per favorire la pesca e acquacoltura sostenibile. Queste aziende hanno compreso che la sicurezza economica e la crescita dipendono dal mantenimento delle risorse e materie prime nel tempo. È così che a livello mondiale la sostenibilità dei prodotti ittici sta divenendo un ‘must’, presupposto fondamentale per la selezione dei nuovi fornitori.
Al fine dell’ottenimento di una certificazione di prodotto da pesca sostenibile, lo stesso deve originare da stock non sovrasfruttati ed essere pescato con metodi selettivi e rispettosi del fondale marino. Per l’acquacoltura la certificazione di sostenibilità della produzione include la verifica di parametri come l’impatto della costruzione del sito di produzione, la qualità delle acque in uscita, la prevenzione delle fughe di pesce e l’ottimizzazione della gestione delle acque, rifiuti ed energia.

In Italia, tre aziende della Gdo – Conad, Coop Italia ed Esselunga – hanno cominciato ad affidarsi ad audit di certificazione di terze parti e al progetto Friend of the Sea, per verificare la sostenibilità dell’origine di alcuni loro fornitori. Agroittica Lombarda, principale produttore al mondo di caviale da storione allevato, e Caviale, da anni contribuiscono con la loro produzione ad alleviare la pressione sullo storione selvatico, tra le specie in pericolo di estinzione. La Cooperativa Astro e la Società Agricola Sterpo (l’Italia è principale produttore europeo di trote) rispettano rigidi parametri di gestione e qualità delle acque. Generale Conserve seleziona, per il suo tonno a marchio As do Mar, solo tonni adulti e solo da flotte certificate sostenibili. Anche i principali produttori di alici e sgombri – Delicius, Isola d’Oro, Rizzoli Emanuelli e Zarotti – si rivolgono a flotte che operano nel rispetto dell’habitat marino. Coam (salmone Scandia) e Fjord selezionano il loro salmone da origini Friend of the Sea.

Insomma, il movimento per la pesca e acquacoltura sostenibile è attivo ed in crescita anche in Italia. Considerata l’estensione delle nostre coste, lo storico rapporto dell’Italia con il mare e la pesca, la pregevole produzione di prodotti di ottima qualità, sarebbe certamente auspicabile che queste iniziative aziendali si moltiplicassero e coinvolgessero un numero sempre maggiore di attori, mantenendo l’autorevolezza di una certificazione svolta da terza parte indipendente e secondo rigidi parametri di sostenibilità.

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