Più credito all’economia sana

Venti suggerimenti. Venti mosse per trasformare il credito verso le aziende green da fenomeno embrionale a vero fattore di sviluppo per l’economia italiana. Questo doppio decalogo è stato presentato a Milano durante l’ottava assemblea programmatica in vista degli Stati generali dell’economia green che si sono svolti a Rimini, nell’ambito di Ecomondo da un gruppo di lavoro presieduto da Marco Frey, direttore dell’Istituto di management della scuola superiore Sant’Anna di Pisa, oltre che direttore di ricerca dello Iefe/Bocconi.
In Italia esiste un numero significativo di istituti di credito che hanno finanziato in misura privilegiata alcuni comparti della green economy: l’Osservatorio rinnovabili dell’Abi ha calcolato che, nel periodo 2007-2011, le banche hanno assunto impegni di finanziamento nel comparto delle rinnovabili per oltre 20 miliardi di euro. Ma – sembra suggerire il gruppo di lavoro – occorre uscire dalla logica degli incentivi alle rinnovabili per includere nelle politiche di credito alle imprese tutte le azioni orientate alla sostenibilità ambientale.
Sono tre i gruppi di azioni che dovrebbero essere intraprese. Il primo riguarda la comunicazione istituzionale: occorre trasmettere a investitori e mercati i vantaggi dell’economia green, sottolineando come rappresenti un modo per uscire dalla crisi. In quest’ambito è fondamentale elaborare nuovi parametri per misurare il ritorno sugli investimenti.
Nel secondo gruppo rientrano varie azioni di carattere fiscale che dovrebbero orientare le scelte di investimento in direzione green: un quadro di incentivi/disincentivi fondati sul principio ‘chi inquina paga’ e, di riflesso, una premialità fiscale per le iniziative a basso impatto ambientale. In generale, la strada da imboccare consiste nello spostamento del carico fiscale da lavoro e investimenti al consumo di risorse.

Il gruppo di lavoro suggerisce anche un maggior coinvolgimento delle assicurazioni nei processi di gestione del rischio ambientale. Anche in quest’ambito occorre agire sui benchmark di riferimento, per evidenziare le best practice. Come? Rendendo obbligatoria la pubblicazione degli indicatori di impatto ambientale nei bilanci e introducendo metodi innovativi di analisi costi/benefici per i progetti di investimento, tramite una valutazione approfondita dei fattori esterni ambientali. C’è poi spazio per il coinvolgimento degli enti locali: accogliendo un suggerimento dell’Anci (Associazione nazionale dei comuni italiani) viene proposto di allentare i vincoli del patto di stabilità interna, escludendo dal suo perimetro gli interventi per migliorare l’efficienza energetica degli edifici pubblici. Oppure di diminuire l’aliquota Imu per gli immobili oggetto di interventi di efficientamento. Due proposte, queste ultime, di sicuro interesse, ma destinate a scontrarsi, nel prossimo biennio, con le priorità di riequilibrio dei conti pubblici.

L’ultimo gruppo di azioni suggerite dal team è quello più nutrito e riguarda le politiche per accrescere l’entità dei finanziamenti. Dal generico obiettivo di aumentare le linee di credito all’economia green (attraverso fondi comuni tematici o green bank) al miglioramento del funding agli istituti di credito. E chi dovrebbe fare la ‘banca delle banche’? Due i soggetti individuati: la Banca europea degli investimenti e la Cassa depositi e prestiti. Quest’ultima potrebbe addirittura farsi promotrice di un fondo chiuso per sostenere le imprese green, come venture capital o private equity, a seconda della quotazione o meno delle imprese partecipate. Nella stessa direzione va il suggerimento di istituire un fondo pubblico-privato per la sovvenzione del capitale delle aziende green e della componente Iva degli investimenti, orientato in particolare alle Pmi. Di solito, infatti, i finanziamenti bancari coprono l’80% dell’investimento e non comprendono la parte di Iva, che equivale a un altro 21 per cento. Ancora più ambiziosa l’istituzione di un fondo di garanzia nazionale, che dovrebbe garantire l’erogazione dei finanziamenti bancari alla green economy. Un capitolo a parte è dedicato ad alcuni strumenti innovativi, come i project bond: l’obbligazione emessa da una società e destinata a finanziare sul mercato dei capitali un’opera o un grande progetto infrastrutturale. Lo scorso agosto è stato emanato un apposito decreto ministeriale, ma finora gli interessi maggiori per lo strumento vengono da società high-carbon (energia, gas, autostrade). Più complessa, ma potenzialmente ancora più interessante, la possibilità di ricorrere ai social impact bond. Si tratta di strumenti ideati per raccogliere dal settore privato fondi per iniziative pubbliche, in cui il prestito viene remunerato solo al raggiungimento di obiettivi ambientali o sociali.

Leave a Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.