Un proverbio africano dice che il momento giusto per piantare questalbero era 20 anni fa ma se lo facciamo adesso vuol dire che il momento giusto per piantarlo è ora. Non è vero che non sono ancora maturi i tempi per innovare strategicamente e portare a valore le politiche di Csr ripensando il business in una logica di corporate social innovation. Innanzitutto perché iniziano a circolare le prime definizioni. Per esempio quella del professor Bradley Googins del Boston College Center for Corporate Citizenship secondo il quale la CSI è la strategia attraverso cui un’organizzazione combina il suo set unico di corporate assets (competenze imprenditoriali, capacità di innovazione, spirito manageriale, scaling up, ecc.) con le risorse di altri attori/settori per creare soluzioni originali a problemi sociali, economici, ambientali complessi che impattano sulla società e sulla sostenibilità del business. In secondo luogo perché cominciano a moltiplificarsi gli esperimenti in giro per il mondo che poi tanto esperimenti ormai non sono più.
Dal progetto di Nokia con Grameen Foundation per portare servizi di telecomunicazione a prezzi accessibili nelle aree svantaggiate dei Paesi in via di sviluppo all’esperienza di Interface che, forte della visione ambientalista del fondatore Ray Anderson, ha avviato una coraggiosa rotta di sostenibilità al 100% entro il 2020. Da vero leader di mercato e parliamo di quello dei pavimenti tessili (ricordate la vecchia moquette?), ha lanciato addirittura il primo cool carpet senza petrolio, colle e altri chemicals e per di più riciclabile al 100%. Unilever, anche grazie al nuovo impulso dato dall’infaticabile Paul Polman che a oggi è tra i manager globali più illuminati in materia, sta andando molto bene con il programma Shakti per ridurre i costi di produzione e distribuzione di saponi e dentifrici in India utilizzando la rete dei rickshaw e soprattutto tante donne che in veste di imprenditrici si adoperano anche in prima persona per una campagna di sensibilizzazione ed educazione sulle regole base dell’igiene. Ibm sta sostenendo i suoi collaboratori un po in tutto il mondo a programmi di volontariato aziendale in cui sviluppano, nel ruolo di imprenditori-owners, progetti di consulenza per organizzazioni territoriali, mentre PG impara dall’andamento delle vendite e dal comportamento dei consumatori nelle aree povere del Brasile come lanciare con successo un detersivo a basso costo per lavaggi a mano che negli Stati Uniti diventa Tide (il nostro Dash) “basic” con pricing altrettanto vantaggioso.
Coca-Cola infine si porta dietro tutta la filiera retail o almeno ci prova proponendo un upgrade dei sistemi di refrigerazione dei supermercati con soluzioni di gran lunga più efficienti sul piano ambientale in cambio di prime space sugli scaffali. Decisamente divertente oltre che intelligente l’esperienza di www.rockcorps.com sostenuta, tra gli altri, anche da Orange, che attraverso accordi tra media company e organizzatori di grandi eventi musicali o sportivi (da Lady Gaga in giù per intenderci), mira ad avvicinare i giovani al volontariato. Il meccanismo è semplice, è quello della raccolta punti in ore da devolvere a ONG in cambio di accessi VIP o di backstage agli eventi preferiti. Le aziende italiane forse sono un po’ più timide ma presto non mancheranno di arricchire questo paniere di buone esperienze.