Quale strascico hanno lasciato i recenti scandali alimentari della ‘carne equina’ e qual è l’attuale percezione dell’industria alimentare in Italia?
L’indagine avviata dall’istituto di ricerca Ipsos Pubblic Affairs all’indomani degli episodi più critici ha cercato di dare risposta a questi interrogativi. Ne esce un quadro piuttosto solido del comparto, che si vede confermata la sufficienza piena (6,19 su 10), con un 23% di rispondenti che le riconoscono addirittura voti superiori al 7. «Nel complesso, il settore alimentare paga lo scotto delle proprie crisi, ma sempre in forma lieve – commenta Andrea Alemanno, group director di Ipsos –. Spicca invece un atteggiamento di crescente sfiducia verso le multinazionali, che non raggiungono la sufficienza. Si fermano infatti al 4,95, a fronte delle piccole aziende nazionali o locali, che si attestano sopra il 7. Ma è un atteggiamento che non si traduce in atto d’acquisto e non penalizza i grandi brand. In fondo, al di là delle dichiarazioni, i nomi noti restano leader, cioè preferiti a scaffale, perchè sono ancora in grado di rassicurare i consumatori».
Ampliando il raggio d’indagine, la ricerca Ipsos ha messo in evidenza due macrotendenze che coinvolgono il comparto alimentare: la prima è l’attenzione agli sprechi. «Si tratta di un’onda lunga, che la crisi ha accelerato, ma che era già emersa con forza. Il consumatore si è fatto più razionale, nella spesa fa attenzione a non sprecare, evita l’acquisto d’impulso salvo nei prodotti più spiccatamente edonistici».
In particolare, emerge che lo spreco ‘genera fastidio’ e di conseguenza la possibilità di non buttare via alimenti è una nuova forma di soddisfazione di cui l’industria deve tenere conto. «Persino nelle trasmissioni dei grandi chef – commenta Alemanno – è suggerita la possibilità di utilizzare in cucina scarti che altrimenti finirebbero in pattumiera: un trend che diventa addirittura radical chic».
È invece un dato in controtendenza quello che emerge dall’aumento dell’autoproduzione. «Il millennio si era aperto con il boom dei piatti pronti surgelati. Ora gli italiani hanno tagliato i consumi fuoricasa – osserva Alemanno – e così facendo hanno liberato energie, tempo e risorse per dedicarsi alla cucina e fare da zero le proprie ricette. E infatti le vendite di piatti pronti, freschi o surgelati, ne risentono». Che consiglio dare quindi alle aziende per affrontare questo nuovo consumatore? «Supponendo che queste prassi si consolidino – azzarda Alemanno –, il consumatore razionale premierà sempre più una comunicazione onesta, direi etica. Il prodotto deve offrire un risparmio effettivo, oppure giustificare il suo prezzo con una qualità superiore. Gli italiani hanno fatto i loro conti e sono disposti a spendere di più solo per prodotti realmente appaganti. Pensiamo al successo, in tempi difficili, della pasta di Gragnano».