Fondazione Uman, uniti per investire….responsabilmente

Paperoni dal cuore d’oro cercasi. C’è questo e molto altro ancora dietro la nascita di Fondazione Uman, prima esperienza strutturata di innovazione dell’investimento responsabile in Italia lanciata e destinata, ci auguriamo, anche a dare un bell’impulso allo sviluppo di una cultura di corporate social innovation. L’obiettivo è ambizioso: indirizzare risorse private verso imprese sociali e creative e connettere l’Italia con le fondazioni filantropiche internazionali per promuovere crescita intelligente e sviluppo umano. Le risorse di partenza di tutto rispetto anche a cominciare da un advisory board di fama mondiale. La connessione con grandi gruppi industriali già ai nastri di partenza. Il contesto di azione sicuramente sfidante se pensiamo che ogni anno nel mondo le fondazioni che promuovono filantropia innovativa mettono insieme risorse per oltre 52,5 miliardi di dollari ma il nostro Paese è clamorosamente assente da questa geografia del giving contemporaneo, esprimendo non meno di 1 miliardo di dollari di raccolta secondo il Global Index of Philanthropy.

L’innovazione sociale per rispondere alla crisi dunque? «Vogliamo sollecitare la creazione di nuovi strumenti di investimento – spiega Giovanna Melandri – e sperimentare in Italia nuove idee per un capitalismo più ‘Umano’ capace di innovare profondamente la finanza, rendendola solidale e socialmente utile». Le cifre e gli esempi in giro per in mondo non lasciano dubbi. Warren Buffet ha destinato oltre 43 miliardi di dollari allo sviluppo umano, battendo il suo amico e concorrente filantropico Bill Gates che ne ha offerti ‘solo’ 40. In America lo chiamano ‘Giving Pledge’ l’impegno a donare più della metà dei propri profitti. Il risultato è che l’82% delle risorse mondiali destinate alla filantropia deriva da fondi privati, e solo il 18% da fondi governativi. La filantropia, quindi, per orientare il cambiamento e perché no, rendere più efficiente grazie a questo nuovo ossigeno il modello di welfare europeo generando un legame virtuoso tra la ‘corporate philanthropy’ e la ‘good society’. Tante le personalità che hanno creduto in questo progetto e oggi siedono nell’Advisory board della fondazione.

Si va dal Premio Nobel Muhammad Yunus a Jacques Attali, Presidente dell’organizzazione Planet Finance; da John Podesta, consigliere del Center For American Progress a Kerry Kennedy, Presidente del Robert F. Kennedy Center For Justice and Human Rigths; da Pamela Hartigan, Direttrice del Centro Skoll per l’imprenditoria sociale a Francesca Boldrini, Direttore Salute e Advocacy Europa della Bill and Melinda Gates Foundation; da Giuliano Amato, presidente dell’enciclopedia Treccan ad Aldo Bonomi, Fondatore del consorzio Aaster insieme a docenti universitari ed esperti del calibro di Sebastiano Maffettone e Stefano Zamagni, oltre al Fondatore della comunità di Sant’Egidio e ora Ministro alla cooperazione Andrea Riccardi. I primi passi operativi? La promozione del legame virtuoso tra Enel Green Power e il Barefoot College per portare elettricità nei villaggi rurali in America Latina tramite impianti fotovoltaici ‘formando’ le donne al ruolo di installatrici-ingegneri solare. E il lancio a breve del primo Impact fund italiano che opererà all’interno del Giin (Global Impact Investing Network), una rete di fondi sociali di investimento lanciata nel 2007 dalla Fondazione Rockfeller che include già oltre 150 fondi a impatto sociale.

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