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Certificazione Lean Six Sigma Green Belt

Per crescere negli affari e vincere sui concorrenti è fondamentale sia comprendere velocemente l’esistenza e la complessità di un problema oppure la possibilità che esso possa verificarsi entro un certo periodo di tempo e con determinate caratteristiche sia agire di conseguenza e rapidamente per risolverlo o prevenirlo. Inoltre, per stimolare la crescita e avere successo sulla concorrenza è altresì importante evitare o ridurre gli sprechi, gli inconvenienti e gli sbagli perfezionando le prestazioni aziendali e incrementando la qualità dei processi, dei servizi e dei prodotti. Ma come fare per ottenere tutto ciò? La risposta a tale domanda è la metodologia Lean Six Sigma, un sistema concettuale che mette insieme le nozioni basilari e i mezzi indispensabili per realizzarle dell’ideologia di produzione efficiente Lean Production e del piano di gestione per la qualità Six Sigma.

Si tratta di un metodo intellettuale da impiegare con rigore e coerenza per gestire le risorse aziendali in maniera ottimale così da diminuire i costi, i guasti e i difetti e aumentare la qualità, la credibilità e la competitività dell’impresa. In particolare, il programma Six Sigma è incentrato sull’analisi e l’ottimizzazione dei processi produttivi per ridurne la variabilità attraverso delle specifiche tecniche di gestione. A tal proposito, nei prossimi paragrafi impariamo a conoscere la certificazione Lean Six Sigma Green Belt rilasciata da Leanprove: Cos’è, Come si Ottiene, a Cosa Serve.

Che cos’è la certificazione Lean Six Sigma Green Belt?

Al giorno d’oggi è importante dimostrare le proprie competenze professionali e aumentare la propria credibilità ottenendo delle certificazioni rinomate e riconosciute in campo internazionale da poter mostrare all’occorrenza, ad esempio, per rassicurare e intrigare i selezionatori, i datori di lavoro e i clienti. A questo proposito, può essere un’ottima idea conquistare la certificazione Lean Six Sigma Green Belt per diventare degli esperti nei principi avanzati della metodologia Lean Six Sigma ed essere in grado di guidare o partecipare a dei progetti di miglioramento aziendale. In effetti, molte imprese applicano gli standard Lean Six Sigma e i lavoratori certificati possono garantirne la conformità.

Anche la bellezza ha il marchio Igp

Anche la crema viso e il bagno schiuma possono essere Igp, esattamente come un olio.
Anzi, è proprio dall’olio, e in particolare con l’olio extravergine di oliva toscano Igp biologico, che si produce la prima linea cosmetica al mondo realizzata con un principio attivo Igp. Si chiama Prima Spremitura, è stata realizzata dalla società di cosmetica Idea Toscana, ed è la sola gamma non food – che comprende prodotti per la cura del viso e del corpo – ad aver avuto dal ministero delle Politiche Agricole il marchio Igp, riservato finora agli alimenti. Questo primato esclusivo si deve al fatto che l’ingrediente unico che compone i cosmetici è proprio il prezioso olio toscano.
Per tale ragione si configura anche come un prodotto che rispetta lambiente, il territorio e la salute delle persone: perché la materia prima è prodotta attenendosi al rigido disciplinare del Consorzio di tutela, partner attivo del progetto, che permette di preservare tutte le proprietà benefiche dellOlio toscano Igp e il suo valore salutistico, nonché impone le procedure indispensabili per salvaguardare le aree di coltivazione e i processi di lavorazione.

Rating di legalità: un passo avanti?

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha adottato il regolamento per la concessione del rating di legalità, così come previsto dal decreto sulle liberalizzazioni. Stiamo assistendo alla posa di una pietra fondamentale per la costruzione di un sistema economico più responsabile? A questa domanda risponderanno il corso degli eventi e, soprattutto, il decreto del ministero dell’Economia, che darà indicazioni alle banche su come considerare questo strumento nella valutazione del merito creditizio. Per il momento, concentriamoci sugli aspetti di responsabilità sociale affrontati nel documento. A giudicare da quello che oggi è ufficiale, il supporto fornito dal regolamento alla diffusione di pratiche di responsabilità sociale, non sembra particolarmente rilevante. Rispetto alla bozza agostana del regolamento, infatti, tutti i dubbi riguardanti l’aleatorietà con la quale vengono affrontati i temi di Csr e l’autoreferenzialità del processo permangono.
Parlando di responsabilità sociale, al di là dello scarsissimo peso riservatole nella valutazione complessiva (la Csr è uno dei titoli di merito facoltativi), la confusione regna sovrana: l’Agcm mantiene la fumosa dizione della bozza originaria in cui “ladesione a programmi promossi da organizzazioni nazionali o internazionali” – valida ancorché generica istanza – è equiparata all’“acquisizione di indici di sostenibilità”, una dicitura del tutto incomprensibile.
Sarebbe bastato poco per citare o rimandare alle recenti comunicazioni della Commissione Europea sul tema (COM(2001) 366, COM(2011) 681). Dispiegando maggiormente l’ambito d’azione della Csr, si sarebbe potuto parlare di politiche, sistemi di gestione e verifica dei risultati, in grado di abbracciare tutti i portatori di interesse dell’azienda, così come indicato anche dallo linee guida Iso 26000: dipendenti, consumatori, fornitori, generazioni future (ambiente), azionisti e comunità locali. Alla luce di questo punto di vista più strutturato, a maggior ragione il peso assolutamente residuale assegnato alla Csr nella valutazione del rating appare inadeguato.