Categoria: Imprese

La solidarietà entra nella rete

La solidarietà ha una nuova identità: quella del 2.0. Grazie a un gruppo di giovani torinesi capitanati dallattore Luca Argentero, è nata la prima onlus che si muove interamente sul web. Niente sede, niente uffici, solo il web e i social network per farsi conoscere e moltiplicare la solidarietà. 1caffe.org può essere definita un amplificatore delle realtà non profit: ogni giorno identifica una piccola onlus italiana alla quale chi lo desidera può donare 1 euro…il prezzo di un caffè! Generalmente si tratta di piccole associazioni non profit che non hanno il fiato per gridare al mondo la loro esistenza e che hanno però bisogno di essere aiutate per portare avanti le loro piccole grandi battaglie.
Il periodo di raccolta caffè è di una sola giornata, per poter dare l’opportunità a molti progetti di essere promossi nell’arco dell’anno. Vengono però forniti ai visitatori i contatti di tutte le associazioni presentate in modo che chi è rimasto colpito dall’iniziativa possa seguirla in totale autonomia e informarsi direttamente.
Iscrivendosi gratuitamente al sistema di pagamento Bemoov, che associa la propria carta di credito o prepagata al numero di cellulare, è possibile con un sms effettuare la donazione in totale sicurezza e trasparenza. L’iscrizione è gratuita, dura circa 10 minuti e soprattutto è necessario farla soltanto la prima volta per poter donare con l’sms, alle diverse associazioni in giorni diversi, utilizzando sempre uno stesso numero.
Un modo veloce e interattivo capace di coinvolgere la gente perché è pensato per la gente. E sono tanti già oggi gli amici e i volontari che si mettono quotidianamente in gioco perché a offrire un caffè siano sempre di più.

Peroni, la birra che risparmia acqua

Birra Peroni rilancia i suoi dati sulla sostenibilità. E lo fa in occasione di Apertamente 2012, Il gusto fa scuola l’iniziativa promossa da Federalimentare in collaborazione con il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ecco i numeri: una riduzione del 7,4% del consumo idrico durante il processo di produzione; il 97% dei rifiuti riciclati o riutilizzati; l’8% del fabbisogno interno di energia termica soddisfatto attraverso la produzione interna di biogas; la promozione di un consumo responsabile dei propri prodotti e l’attenzione costante alle comunità in cui opera. Ecco le azioni che Birra Peroni persegue nell’ambito delle dieci priorità che è si data nella propria attività, riportate in dettaglio nel Rapporto di Sostenibilità 2011-2012, Per Noi che crediamo nell’Italia.

Più credito all’economia sana

Venti suggerimenti. Venti mosse per trasformare il credito verso le aziende green da fenomeno embrionale a vero fattore di sviluppo per l’economia italiana. Questo doppio decalogo è stato presentato a Milano durante l’ottava assemblea programmatica in vista degli Stati generali dell’economia green che si sono svolti a Rimini, nell’ambito di Ecomondo da un gruppo di lavoro presieduto da Marco Frey, direttore dell’Istituto di management della scuola superiore Sant’Anna di Pisa, oltre che direttore di ricerca dello Iefe/Bocconi.
In Italia esiste un numero significativo di istituti di credito che hanno finanziato in misura privilegiata alcuni comparti della green economy: l’Osservatorio rinnovabili dell’Abi ha calcolato che, nel periodo 2007-2011, le banche hanno assunto impegni di finanziamento nel comparto delle rinnovabili per oltre 20 miliardi di euro. Ma – sembra suggerire il gruppo di lavoro – occorre uscire dalla logica degli incentivi alle rinnovabili per includere nelle politiche di credito alle imprese tutte le azioni orientate alla sostenibilità ambientale.
Sono tre i gruppi di azioni che dovrebbero essere intraprese. Il primo riguarda la comunicazione istituzionale: occorre trasmettere a investitori e mercati i vantaggi dell’economia green, sottolineando come rappresenti un modo per uscire dalla crisi. In quest’ambito è fondamentale elaborare nuovi parametri per misurare il ritorno sugli investimenti.
Nel secondo gruppo rientrano varie azioni di carattere fiscale che dovrebbero orientare le scelte di investimento in direzione green: un quadro di incentivi/disincentivi fondati sul principio ‘chi inquina paga’ e, di riflesso, una premialità fiscale per le iniziative a basso impatto ambientale. In generale, la strada da imboccare consiste nello spostamento del carico fiscale da lavoro e investimenti al consumo di risorse.

Sostenibilità formato Barilla

Non è così scontato, in questa infelice congiuntura economica, che le imprese abbiano voglia di tagliare nastri per avviare nuove attività. E, ammesso che lo facciano, è ancora meno scontato che il nastro decidano di tagliarlo proprio nel nostro Paese, dove fare impresa è notoriamente più complicato e costoso che in decine di altre location. E invece. Qualcuno ci crede ancora. E addirittura rilancia: a certe condizioni, investire in Italia può rivelarsi un buon affare. Una provocazione? Può darsi, ma chi la lancia ci crede a tal punto da averci investito sopra 40 milioni di euro. Non a caso l’investimento fatto da Barilla nel nuovo stabilimento di sughi, a Rubbiano di Solignano (Pr), si è giustamente meritato le prime pagine dei giornali e l’intervento di Mario Monti nella giornata inaugurale. In molti, commentando l’evento, hanno notato con implicito sollievo che se un colosso come Barilla ci sceglie ancora, non tutto è perduto. Ma per i paladini della green economy, fermamente convinti che ci sia un forte legame tra politiche di sostenibilità e profittabilità d’impresa, Rubbiano è anche qualcosa di più. È una sorta di quadratura del cerchio, che coniuga perfettamente la vocazione di un’impresa sostenibile a valorizzare il territorio in cui opera con i maggiori ritorni che, nel lungo periodo, questa scelta può portare con sé. A confermarcelo è proprio Guido Barilla, presidente del gruppo che porta il suo nome, raggiunto negli uffici di Parma da Maria Cristina Alfieri, direttore editoriale di Gruppo Food per unintervista pubblicata sul numero di novembre di GreenBusiness. «Investire sul territorio può essere una scelta vincente anche dal punto di vista dei risultati – rimarca Barilla –. Non è affatto vero che tutti gli stabilimenti, se gestiti in un certo modo, possono avere le stesse performance. Il posto fa la differenza e, nel lungo termine, certi siti danno ritorni più interessanti».
Siete rimasti a Rubbiano per questo?
Siamo rimasti a Rubbiano perché per noi è un sito strategico. Da metà degli anni Sessanta abbiamo lì uno stabilimento, che fa prodotti da forno ed è gestito da un gruppo di dipendenti estremamente motivato e con una cultura industriale molto significativa. La scelta è ricaduta su quell’area sia perché è consona alla nostra attività produttiva, sia perché la qualità della gente che ci lavora è molto alta.
Fa piacere che il capitale umano abbia ancora un peso così importante…
Lo ha il capitale umano, così come lo ha il legame con la filiera. Le salse di pomodoro che noi produciamo sono prodotti molto delicati, che hanno bisogno di materie prime particolarmente raffinate: un maggior controllo delle filiere sul territorio ci dà, su questo fronte, maggiori garanzie di qualità. Noi utilizziamo il pomodoro che viene in gran parte dall’Emilia Romagna, così come vengono dai territori circostanti alcuni altri componenti, come il basilico, che sono essenziali per la ricettazione delle nostre referenze.
Mi sta dicendo che state lavorando per una forte integrazione tra la vostra realtà industriale e il mondo agricolo?
Credo che, specialmente in questi periodi di difficoltà, una delle scelte che gli operatori economici di diversa natura – siano essi agricoltori, industriali, distributori o banchieri – dovrebbero fare è proprio quella di abbandonare la rigidità delle loro posizioni, per passare da una logica di conflittualità a una di collaborazione.
È un passaggio epocale…
Lo è certamente, però è necessario. O comprendiamo che per gestire in modo più efficiente e con costi minori le filiere dobbiamo accordarci invece che confliggere o la strada sarà estremamente più difficile e complicata per tutti, quindi non solo per le imprese di varia natura, ma anche per i consumatori finali perché, se non riusciremo ad attivare importanti sinergie cooperative, i costi dei prodotti finiranno per essere più alti.
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Parlando di bene comune, molti produttori lamentano il fatto che, in sede di trattativa economica, la sostenibilità sociale e ambientale delle imprese conti ancora molto poco, agli occhi dei retailer, rispetto a prezzi e sconti. È così?
Per il momento l’attenzione della distribuzione, in Italia come all’estero, è molto concentrata sulle condizioni economiche. È chiaro che i retailer sono accorti nella valutazione dei prodotti, ma la visione è sempre quella che assegna un peso preponderante al traffico, al peso dello scontrino, alla velocità di rotazione: non è perché si è bravi e virtuosi che vengono spinte le proprie referenze. Anche qui bisognerebbe fare un passo avanti, perché i risultati di una politica che si concentra solo su pricing e promozioni sono sotto gli occhi di tutti. Come dicevo prima, la chiave di volta è il passaggio dal conflitto alla partnership, per spingerci verso nuove frontiere che creino valore per tutti.

Nasce lMba in sustainability management

Le imprese del futuro dovranno contare sulle competenze di manager in grado di integrare la responsabilità ambientale e sociale nelle strategie. In prospettiva assumerà un ruolo chiave la figura del Csr manager, per il quale sarà necessaria una formazione specifica. A questo scopo è nata, unica nel suo genere, la Sustainability management school (Sumas) a Glend in Svizzera (nella foto, uno scorcio della sede), dove dall’anno accademico 2013-2014 partiranno il corso di laurea e l’Mba in Sustainability management. Sumas si configura come una scuola d’élite (i costi si aggirano sui 32 mila euro l’anno per il corso di laurea), destinata a fare da apripista verso un nuovo paradigma formativo. La caratteristica distintiva del programma di formazione è che per ogni materia è previsto un modulo relativo alla sostenibilità, per esempio nell’area finanza c’è un ampio capitolo relativo agli investimenti responsabili, così come nella disciplina delle risorse umane non si prescinde da un riferimento alla diversity.

Nuovo sustainability report per Heineken Italia

Ben 296 tonnellate di CO2 e 1,8 milioni di ettolitri di acqua risparmiati e un calo del 70% degli infortuni sul lavoro sono tra i risultati raggiunti in Italia dal piano di sostenibilità internazionale Brewing a better future, con cui Heineken si pone l’obiettivo di diventare, entro il 2020, il produttore di birra più green al mondo.
Tra i dati del Sustainability Report 2011, relativo alle iniziative e agli interventi messi in pratica da Heineken a livello italiano per migliorare il proprio impatto sull’ambiente, i dipendenti e la comunità, emerge la riduzione dei consumi di energia totale (termica ed elettrica) dai 155,5 MJ/hl del 2010 a 151,7 MJ/hl. Si tratta di un valore molto al di sotto della media globale di Heineken (158,8 MJ/hl), che evidenzia l’impegno con cui il management di Heineken Italia sta ripensando i processi produttivi in un’ottica di efficienza energetica.

Mondelēz, anche il cacao è sostenibile

Dopo la filiera del caffè sostenibile, Mondelēz International (questo il nuovo nome di Kraft Foods) vara il progetto ‘Cocoa Life’, con cui annuncia ufficialmente la volontà di rafforzare l’impegno per la sostenibilità nel settore del cacao. L’azienda, in qualità di maggior produttore mondiale di cioccolato, investirà nei prossimi dieci anni 400 milioni di dollari (308,73 milioni di euro) per migliorare i mezzi di sussistenza e le condizioni di vita di oltre 200 mila coltivatori di cacao e di circa un milione di persone che vivono nelle comunità dedite alla coltivazione.
Innanzitutto, Cocoa Life porterà un nuovo investimento da 100 milioni di dollari (77,18 milioni di euro) in Costa d’Avorio, il Paese produttore di cacao più grande del mondo, per aiutare 75mila coltivatori a raddoppiare la loro produttività.

Green jobs, traino all’occupazione

La green economy sarà il motore dello sviluppo. E per accelerare il processo sarà necessario puntare su competenze professionali specifiche in tema di sostenibilità. Un segnale di fiducia sia sul fronte della crescita che su quello dell’occupazione, in cui siamo spesso abituati a confrontarci con uno scenario a tinte fosche. Entro l’anno supereranno quota 55 mila le assunzioni programmate dalle imprese dell’industria e dei servizi per le figure professionali strettamente legate alla green economy, cioè quei profili con skill in materia ambientale e di sostenibilità. Di queste circa 51 mila sono non stagionali pari cioè al 12,5% del totale delle assunzioni non stagionali previste dal settore privato extra agricolo (406.820). I dati emergono dalla lettura dell’approfondimento sulla green economy di Unioncamere e Fondazione Symbola, in un focus dedicato ai green jobs e presentato a JobOrienta, il salone nazionale dell’orientamento, la scuola, la formazione e il lavoro, che si chiude oggi alla Fiera di Verona.
A queste assunzioni se ne aggiungono ulteriori 87 mila, di cui poco più di 57 mila quelle non stagionali, se si considerano le altre professioni potenzialmente attivabili dai settori della green economy previa acquisizione di determinate competenze ambientali. In complesso, quindi, toccano quota oltre 142 mila le assunzioni complessive per i lavori ’verdi’ e potenzialmente tali, messe in programma dalle imprese per l’anno in corso, di cui ben 108 mila non stagionali, pari a quasi il 30% del totale della domanda di lavoro non stagionale.
La domanda più consistente di green jobs giunge proprio dalle 358 mila imprese dell’industria e servizi che hanno investito in tecnologie green (funzionali al risparmio energetico e di materia o al minore impatto ambientale). Svolte aziendali che rendono necessario l’ulteriore potenziamento della forza lavoro più affine al tema: infatti, la richiesta di green jobs in senso stretto da parte di queste imprese raggiunge il 14,1% del loro fabbisogno occupazionale (non stagionale), superiore di quasi tre punti percentuali al fabbisogno espresso da quelle non investitrici in tecnologie verdi (11,4%). E proprio dalle imprese consapevoli che la nuova competitività passa per il green, sarà effettuata circa la metà (quasi 24 mila, pari al 46,9%) delle assunzioni non stagionali complessive di lavori verdi in senso stretto, proprio.

Gruppo Sanpellegrino: quando la sostenibilità premia

Il valore aggiunto della corporate social responsability è prioritario anche nel mondo della supply chain. A dimostrarlo è l’ultima edizione del “Premio Logistico dell’Anno 2012”, il riconoscimento firmato Assologistica ed €uromerci assegnato al Gruppo Sanpellegrino proprio per “le azioni di efficienza e di sostenibilità ambientale realizzate nella supply chain mediante l’innovativo rapporto di partnership logistica sviluppato con Chep Italia”, specialista nelle soluzioni di pooling di pallet e contenitori.
Per il colosso del beverage la collaborazione con Chep ha permesso in particolare un’ottimizzazione dei trasporti, con una conseguente riduzione delle emissioni di anidride carbonica, grazie all’eliminazione di un passaggio intermedio all’interno della catena distributiva. Infatti, i pallet su cui viene caricata la merce consegnata da Sanpellegrino nel Sud Italia via treno, una volta svuotati, vengono oggi caricati nuovamente sui treni di ritorno e riconsegnati direttamente agli stabilimenti del Gruppo, mentre fino a ieri era invece Chep Italia a occuparsi del recupero presso i distributori dei pallet vuoti, che venivano successivamente riconsegnati a Sanpellegrino.

Ford, l’inizio di un lungo viaggio

Delineare i trend e le abitudini del consumatore che daranno forma alla mobilità del futuro. è questo il percorso iniziato da Ford con il dibattito “The future of sustainable transport: solving global gridlock” organizzato insieme al quotidiano britannico The Guardian. In questa videointervista Barb Samardzich, vice president of product development at Ford Europe ripercorre i presupposti e le motivazioni che guidano Ford in questo percorso verso la mobilità sostenibile.

TRADUZIONE
Sono al quartier generale di The Guardian, e sono con Barb Samardzich, vice president of Product Development di Ford Europe. In 2050 ci saranno 2 miliardi di auto in più, quindi i problemi di inquinamento e traffico saranno esorbitanti. Tuttavia, una ricerca sponsorizzata da Ford mostra che il 76% delle persone non è pronta a rinunciare alla sua auto perchè il possesso dellauto è ancora visto come un simbolo di libertà. Quindi qual è la soluzione per Ford e come state cambiando il vostro business model per renderlo sostenibile?